Su uno dei tanti possedimenti della nobile famiglia Carafa, la mano di Cosimo Fanzago, architetto e marmoraro bergamasco, intervenne per la realizzazione di una straordinaria chiesa troppo nascosta per la sua bellezza e la storia dei suoi protagonisti. Si trova in Via Salvatore Tommasi, a pochi passi dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e poco distante dall’affollato e brulicante “Cavone“.
E’ barocca, risale al XVII sec., è un trionfo di marmi ed ha pianta a croce greca, quasi una rarità tra le chiese napoletane di quell’epoca. La sua cupola, slanciata, contribuisce a creare un particolare effetto scenografico ma, senza ombra di dubbio, l’effetto più spettacolare è dato da una delle cappelle in cui è riprodotta la grotta della Madonna di Lourdes tappezzata da lapidi in marmo, ex voto per grazia ricevuta. Date e nomi sono storie di vita e di fede.
E’ proprio qui che, accanto alla dolce immagine della Madonna in preghiera, è tumulato un frate, addirittura più famoso in Polonia che a Napoli: si chiama Don Dolindo Ruotolo ed è considerato una sorta di Padre Pio tutto napoletano.
Consacratosi fin da piccolo alla Madonna, Don Dolindo, un’esistenza fatta di sofferenza e fede, dedicò gran parte della sua vita alle Sacre Scritture cercando di indagare a fondo la complicata relazione tra scienza e fede. Terziario francescano, nato nel 1882, Dolindo, Servo di Dio, è già venerato come un Santo della Chiesa cattolica. Sulla sua tomba di marmo, candele e fiori, una frase: “Venite a bussare, io vi risponderò”.
Secondo quanto documentato, Don Dolindo, invocato anche per l’unione e la riappacificazione delle coppie, avrebbe previsto già nel 1965, la fine del Comunismo e che la Polonia avrebbe liberato l’Europa dalla tirannia con l’azione di un “nuovo Giovanni” (Karol Wojtyla). Dolindo, il cui nome significa dolore, aveva una profonda devozione per la Madonna tanto che veniva chiamato affettuosamente il “vecchietto di Maria” ed il Rosario era considerato da lui come una “rete elettrica” capace di accendere una lampada di carità.
Chi lo ricorda racconta di un uomo piccolo, sofferente, piegato in due dall’artrosi e dalle pene del mondo che portava sempre con sè, per penitenza, una pesante borsa nera piena di pietre.
Numerose sono state le sue esperienze di bilocazione, esorcismo e profezia. Aiutava poveri, bisognosi e malati ai quali, spesso, prescriveva anche delle ricette utilizzando, in modo giocoso, lo pseudonimo di Cretinico Sciosciammocca suggerendo poi il vero rimedio per la guarigione: “balsamo di unione alla divina volontà con gocce luminose di Ave Maria“. Lo stesso Padre Pio da Pietralciana sapeva della sua fede e della sua “santità” e spesso ai napoletani che andavano da lui rispondeva “Perchè venite da me? A Napoli avete Don Dolindo“.
Ecco, adesso lo sappiamo, riposa in una chiesa nascosta dietro ad un enorme portale di piperno. I fedeli bussano sulla sua tomba per tre volte in nome della SS. Trinità, la risposta è nella preghiera. Tante sono le preghiere che Don Dolindo scrisse. Delle tante mi piace ricordare un verso “Farò del mio corpo un’ arpa a dieci corde, intonate ai tuoi comandi, per cantarti tutta la mia fedeltà!”
Morì nel 1970 a Napoli ma vive ancora amato e venerato nella chiesa di San Giuseppe dei Vecchi in Via Salvatore Tommasi.
Fonte: https://ecampania.it/event/don-dolindo-il-vecchietto-di-maria/